Di Ilde, nata a Montelabbate (PU) nel 1905, morta con la sua famiglia nell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (LU) nell’agosto 1944 ho già parlato in altre occasioni: non era ebrea, ma la sua storia mi torna in mente quando sento parlare di Memoria con la maiuscola. In questo post ho provato ad approfondire, seguendo l’idea che personalizzare la Storia renda più facile comprendere il senso vero delle innumerevoli Giornate ‘per non dimenticare‘.

Pensando alle gioie più grandi – all’immensa nostra felicità sorrido. Tua per sempre e solo tua aff.ma Ilde – La Spezia, luglio 1937.
Non si possono risuscitare le vite finite nell’archivio, scrive la storica Arlette Farge, ma questa non è una buona ragione per farle morire una seconda volta. Scrivere delle vite finite nell’archivio sottende la speranza di prolungare di un attimo il loro tempo su questa terra. Un po’ come in Coco, dove ci si dimentica davvero dei morti solo quando nessuno espone più la loro fotografia.
Insieme con il marito Luigi Scipioni e i figli Mario e Giuseppe, Ilde Donati è una delle circa 400 vittime identificate sulle 560 della strage di Sant’Anna di Stazzema (LU), perpetrata dalla 16 Divisione delle Waffen SS la mattina del 12 agosto 1944 (il numero delle vittime è tuttora discusso, mi attengo ai dati riportati sul sito del Parco della Pace di Sant’Anna). I loro nomi sono ricordati da un monumento funebre nel cimitero di Montelabbate, e a Sant’Anna, dove di Mario (13 anni) e Giuseppe, Giuse (9) sono esposte anche le fotografie, insieme con quelle degli altri bambini trucidati (in tutto 130: 65 di loro avevano meno di 10 anni e la più piccola venti giorni).

Chissà se nell’immaginare Lista, la custode della memoria di Trachimbrod, lo shtetl ucraino distrutto dai nazisti in Ogni cosa è illuminata, Jonathan Safran Foer e Liev Schreiber hanno pensato a Leopolda Bartolucci, Poldina, che ha dedicato la vita a raccogliere testimonianze sulle vittime di Sant’Anna: oggetti, album di famiglia, fotografie, documenti soprattutto dei bambini, i suoi amici, materiali composti poi nel grande pannello del Museo storico della Resistenza di Sant’Anna. Scomparsa nel 2009, nel 1944 Poldina aveva 12 anni. Il 12 agosto perdette il padre Adolfo, salvandosi con la madre solo perché quel giorno si trovavano a Pietrasanta.
Ilde e Anna
Ilde l’ho incontrata una quindicina di anni fa nel suo paese natale, Montelabbate, raccogliendo notizie e immagini per un progetto sulla memoria della Valle del Foglia, in provincia di Pesaro e Urbino. In Ho già pubblicato un paio di scatti dove è ritratta sulla spiaggia di Pesaro, da sola e con un gruppo di amiche, nostrana bellezza al bagno con tanto di cuffia e parasole. Prima di conoscere la sua storia fu proprio questa civetteria ad attirare la mia attenzione: nella Pesaro fascista, ricordo di aver pensato, non erano poi tante le ragazze che potevano permettersi, che si permettevano, una mise così studiata e, tutto sommato, ardita.


Le poche cose che ci restano di lei – un mazzetto di fotografie, una borsa di coccodrillo nera, una vestaglia-kimono di seta ricamata a colori vividi, un cofanetto in legno intagliato, questi ultimi, forse, souvenir dei viaggi del marito Luigi – sono custodite con infinita cura da Anna Capponi Donati, moglie di Donato, pronipote di Ilde (Ilde era sorella di Alceo, nonno di Donato). Scomparso nell’agosto scorso, insieme con Anna Donato aveva voluto incontrare Enrico Pieri, uno dei sopravvissuti della strage: siamo stati a Sant’Anna per una commemorazione anni fa, abbiamo sempre pensato di tornarci, ma poi non c’è stata più l’occasione. Nella sua raccolta Anna conserva fotografie, cartoline, documenti che connettono centinaia di vite della sua famiglia e di tutta la Valle del Foglia, spingendosi fino alla Merica degli emigrati italiani di inizio ‘900. Miriadi di microstorie, come si diceva anni fa, nelle quali si rifrangono dettagli di vicende di più vasta portata: la “Storia”.

Ilde e Luigi
Ho sempre saputo che sarei tornata da Anna, per Ilde. Un mucchietto di fotografie con pochi indizi pone una sfida irresistibile. E poi c’è la necessità di insistere nel personalizzare la storia, proprio come per la Shoah. Così da qualche giorno mi sono rimessa all’opera: pubblico intanto una ricostruzione parziale delle vicende di Ilde e della sua famiglia, che aggiornerò mano a mano che arriveranno risposte. Mi piace pensare, infine, che un giorno tutto questo possa trovare spazio in un libro, virtuale o di carta.
Nella foto di apertura Ilde ha 32 anni. È nata il 12 gennaio 1905 a Montelabbate, un borgo sulle rive del fiume Foglia a una decina di km da Pesaro. Distese di alberi da frutta in una campagna dolce, ancora immune dai capannoni industriali che spunteranno nel dopoguerra (il distretto delle cucine); non lontano dal centro abitato la millenaria Badia di San Tommaso rimanda all’origine del castello sulla collina: Mons Abbatis, Monte dell’Abate, che da qui, dicono gli storici locali, amministrava i molti castelli sotto la sua giurisdizione. In paese la vita si concentra lungo via Borgo Mercato (oggi via Roma), dove Ilde abita dal 1924 con la famiglia di origine: il padre Girolamo – per tutti Spuléin – , la madre Maria Zampolini e i quattro fratelli.
A pochi metri da casa c’è la chiesa parrocchiale dei Santi Quirico e Giulitta: qui il 23 agosto 1930 Ilde sposerà Luigi Scipioni, ufficiale di Marina di un anno più giovane.

Di Luigi non sappiamo molto, per ora, ma dovette essere proprio il suo lavoro – “Capotecnico degli Armamenti Navali” – a portarlo con la famiglia in Liguria. Nato a Cremona il 16 maggio 1906 da genitori – sembra – provenienti da Pesaro, dal 1927 ufficiale di Marina (Guardiamarina, grado corrispondente a quello di Tenente dell’Esercito o dell’Aeronautica militare), dal 1° giugno 1930 Luigi era in servizio presso le officine San Bartolomeo, all’Arsenale di La Spezia. Qui si fabbricavano munizioni, maschere antigas e, a metà degli anni Trenta, il sommergibile che dall’officina prende il nome, utilizzato negli attacchi dalla Decima Mas. A La Spezia Ilde e Luigi si stabiliscono subito dopo il matrimonio, e qui il 6 giugno del 1931 nascerà il primogenito Mario.
Nel novembre 1932 gli Scipioni si trasferiscono a San Terenzo di Lerici, a una decina di km da La Spezia, estremità orientale del Golfo che nel 1910 il commediografo Sem Benelli aveva battezzato dei Poeti. Le case dei pescatori affacciate sul mare, alle spalle i monti della Serra: a San Terenzo Ilde si fa ritrarre davanti a Villa Magni, ultima residenza del poeta inglese Percy Bysshe Shelley, annegato nell’estate del 1822 proprio mentre navigava verso Lerici sulla sua goletta. E chissà se ha mai incontrato la baronessa Emma Orczy, celebre creatrice de La primula rossa, che dal 1927 al 1933 nella sua villa di Lerici trascorreva autunni e primavere, o Virginia Woolf, che all’Hotel Miramare di San Terenzo soggiornò qualche giorno sempre nel 1933.

Amava il mare, Ilde: in diversi scatti posa sul litorale ligure, così diverso con i suoi scogli e il suo fondo di ciottoli da quello pesarese ricoperto di sabbia fine. Ancora un ritratto con l’ombrellino: 5 luglio 1937. Non troppo riuscita ma ugualmente cara come ricordo. Ilde tua per sempre e solo, solo tua.

Nell’estate 1937 Ilde, Luigi, Mario e il piccolo Giuseppe, nato a Lerici il 5 febbraio 1932, tornano a La Spezia: la data dell’iscrizione nei registri anagrafici spezzini è il 24 luglio, ma dalle fotografie sappiamo che già il 13 luglio Luigi è in Eritrea, dove rimane almeno fino al giugno 1938. La temperatura è fortissima ma io non sento il disagio perché io penso a te, delizia voluttuosa della mia vita (Luigi a Ilde, 17 luglio 1937); Sotto le stuoie della baracca c’è un po’ d’ombra però è sempre una sofferenza grande, ben piccola di fronte a quella che mi dà il desiderio di te. Il tuo amante (luglio 1937).
Asmara, Massaua, Sorodocò: per niente glorioso, si scoprirà, il passato coloniale del regime fascista ci scorre davanti nelle tante fotografie che Luigi spedisce alla famiglia.


Da La Spezia Ilde ricambia puntuale: del luglio 1937 sono anche i due ritratti di grande formato – lei e Mario – realizzati da Marcello Servadei, fotografo con lo studio in Corso Cavour, uno dei più rinomati in città. Dieci anni prima, per il ritratto da inviare all’allora fidanzato Luigi, a Pesaro Ilde aveva scelto Pietro Belli, al quale ricorrevano i pesaresi più in vista: quando farsi fotografare era un rito.
Quasi la immaginiamo, Ilde, che si prepara per recarsi in studio: l’abito di un colore chiaro, siamo in estate, per far meglio risaltare i suoi capelli corvini e i suoi occhi neri, e poi quel cappello, che gioca con la luce. Sa di essere bella, e le piace farsi lusingare dall’occhio della macchina fotografica.
Al suo ritratto corrisponde quello di Mario: stesso fotografo, stesso formato, stessa carta, forse lo stesso giorno. Mario ha sei anni ma pare già un ragazzo, assomiglia a Luigi, con quel ciuffo che chissà quante volte la mamma avrà ravviato. Per una volta Ilde non guarda in macchina: pensando alle gioie più grandi – all’immensa nostra felicità sorrido.
In una fotografia datata gennaio 1938, inviata ai bravi zii Alceo e Bina con tanto affetto, Mario è affiancato dal fratello minore: basco calzato sugli occhi, mani in tasca, aria di sfida, Giuseppe – Giuse – ha quella che qui da noi si dice una faccia da teppa (teppa sta per monello); infagottato nel pellicciotto assomiglia al batufolino della dedica di Ilde a Luigi: il caro batufolino ti aspetta con ansia, dicembre 1937.
Ilde, Luigi, Mario, Giuseppe. 1940-1944
Da qui le notizie si fanno più rade. Due scatti del maggio 1941 ci dicono che Ilde è a Montecatini; dal 27 dicembre 1943 la famiglia Scipioni risulta emigrata a Pietrasanta, forse per sfuggire ai bombardamenti alleati, che nel tentativo di distruggere l’arsenale avevano colpito duramente il centro storico di La Spezia.
Nonostante l’occupazione tedesca e la Linea Gotica, che passa a un tiro di schioppo da casa Donati, Montelabbate, quel minuscolo paese che quasi ci fa essere un po’ tutta una famiglia (Ilde a Jole Guidi Zambonini, 7 maggio 1932) appare più sicuro e, raccontano i famigliari, presumibilmente nella primavera del 1944 Ilde accompagna Giuseppe dai nonni Girolamo e Maria.
Nel luglio 1944 Casimiro, uno dei fratelli di Ilde, viene assassinato – motivi politici, si dirà – a San Pietro in Calibano (oggi Villa Fastiggi), frazione di Pesaro a una manciata di chilometri da Montelabbate.
Forse proprio dopo la morte di Casimiro Ilde torna a prendere Giuseppe – non si sa quando è tornata, ma di sicuro poco prima, si è sempre pensato in casa, quel poco prima sottintende della fine -, di certo è per restare tutti insieme prima di sfollare a Sant’Anna, sulle colline della Versilia.
Sant’Anna, frazione di Stazzema, provincia di Lucca, 660 metri sul livello del mare, circa 15 km da Pietrasanta. Più o meno dall’altro capo della Linea Gotica: Pesaro-Marina di Massa Carrara. Unisci i puntini sulla mappa e si delinea come una geometria della tragedia, che appare ancora più vicina, ineluttabile. E pensare che pochi giorni prima del 12 agosto Sant’Anna è stata dichiarata dal comando tedesco “zona bianca”, località sicura per chi lascia la propria casa in cerca di rifugio. I 400 abitanti del borgo, poche case sparse e una chiesina, diventano quasi un migliaio, con gli sfollati saliti da La Spezia, Pietrasanta, Pisa, Livorno… Il fronte è ormai vicino all’Arno, la guerra sta per concludersi, anche per questo si è scelta Sant’Anna: non è lontana da casa e presto si potrà tornare.
Di fronte alla chiesa il girotondo dei bambini: chissà se in questa foto sbiadita, ormai un simbolo, ci sono anche Giuseppe e Mario.
A Sant’Anna sono diverse le famiglie degli uomini di Marina: i Cappiello, i De Martino, i Tucci. Francesco Cappiello e Antonio De Martino, napoletani, sono marinai all’Arsenale di La Spezia; Antonio Tucci, oriundo di Foligno, come Luigi è ufficiale ma di stanza a Livorno. Il 12 agosto 1944 perde la moglie Bianca e gli otto figli, quando arriva a Sant’Anna con la forza gli impediscono di togliersi la vita: lo farà nel 1953.
Scipioni Luigi, Capo Tecnico Marina, abitazione all’atto dell’iscrizione: Sant’Ansano n. 7 – Morte a Stazzema il 12 agosto 1944.
Donati Ilde, professione atta alla casa, abitazione all’atto dell’iscrizione: Sant’Ansano n. 7 – trucidata dai tedeschi a Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944
Scipioni Mario, abitazione all’atto dell’iscrizione: Sant’Ansano n. 7 – trucidata dai tedeschi a Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944
Scipioni Luigi, professione scolaro, abitazione all’atto dell’iscrizione: Sant’Ansano n. 7 – trucidata dai tedeschi a Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944
Ufficio Anagrafe/Stato Civile del Comune di Pietrasanta, 1948
Molte sul web le pagine che ricostruiscono la strage a partire dalle testimonianze dei superstiti e dagli atti processuali. Il massacro cominciò alle sette e proseguì fino al pomeriggio, dilaniando Sant’Anna e le località vicine: i corpi, ammassati al centro del paese, furono bruciati come la maggior parte delle case. Impossibile sintetizzare quell’orrore e dopo tutto non è compito di questo post – meno male, mi dico, come potrei riuscirci? Tra le tante parole scelgo quelle del rabbino Elio Toaff (1915-2015) che, giovane partigiano, fu tra i primi ad arrivare sul luogo della strage: quella mattina, quando entrammo in Sant’Anna verso le 11, eravamo solo una dozzina. E prima di veder l’orrore fummo assaliti da un odore terribile, di carne umana, bruciata. (…) Su Sant’Anna era calato subito un silenzio impalpabile, una rimozione… Per tanti anni mi sono chiesto perché. E ho cercato di dare un senso a tutta quella ferocia che mi venne incontro in quel caldo mattino d’estate. La prima casa che trovammo era alla Vaccareccia: fumava ancora. Dentro c’erano i corpi di un centinaio di persone, in maggioranza donne e bambini. Le SS, quattro colonne da 100 uomini ciascuna di quella stessa XVI divisione che ha agito poi a Marzabotto, li avevano chiusi lì dentro, poi avevano dato fuoco alla paglia e avevano gettato dentro delle bombe. Vedemmo un ammasso irriconoscibile. Più avanti c’era un’altra casa, con la porta spalancata. Entrai e ho ancora difficoltà a raccontare… C’era una donna, seduta di spalle, di fronte a un tavolo. Per un attimo pensai che fosse viva. Ma, appena avanzai, vidi che aveva il ventre squarciato da un colpo di baionetta. Era una donna incinta e sul tavolo giaceva il frutto del suo grembo. Avevano tirato un colpo d’arma da fuoco anche in testa a quel povero bimbo non ancora nato.
(Se vuoi approfondire, in aggiunta ai link nel testo ti segnalo in fondo all’articolo alcune tra le fonti di cui mi sono servita per scrivere questo post).
Toaff parla di rimozione: l’armadio della vergogna, con i fascicoli delle indagini svolte a partire dal settembre 1944 da commissioni italiane, inglesi e americane rimase chiuso per cinquant’anni. La guerra fredda e i nuovi equilibri politici imposero alla diplomazia internazionale di sorvolare sulle responsabilità dell’eccidio e di Sant’Anna si parlò in alcuni processi solo fino al 1951. Nel 1995, su impulso del Comune di Stazzema e dell’Associazione Martiri di Sant’Anna, l’indagine ripartì, concludendosi il 22 giugno 2005 con la condanna all’ergastolo di 10 ex-militari delle SS, sentenza confermata dalla Corte di Appello Militare di Roma il 21 novembre 2006 e ratificata definitivamente dalla Corte di Cassazione l’8 novembre 2007.
Nel 1982 il presidente Sandro Pertini inaugura il museo, trasformato nove anni dopo in Museo Storico della Resistenza; dal 2000 sulla memoria della strage vigila il Parco nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema, culminante nel monumento-ossario di Col di Cava.

Montelabbate, agosto 1944
Alceo fu avvisato del massacro, non so dirti quando, ma so che con un camion andò a Pietrasanta con un fratello a recuperare i mobili e gli effetti personali di Ilde. Oltre alle foto e ai vestiti, a me e Donato sono rimaste una camera e una sala… Tutte cose che Bina, la moglie di Alceo, aveva conservato e che poi sono arrivate a noi attraverso Ezio, il padre di mio marito Donato. Mentre Anna conclude il suo racconto penso ai familiari di Ilde, che nel giro di un mese devono affrontare l’omicidio di Casimiro e quello – sì, dopotutto è un omicidio – di Ilde.

Nel 1946, per il II secondo anniversario della scomparsa di Ilde, Luigi, Mario e Giuseppe le famiglie Scipioni e Donati stampano un ricordino. La foto non deve essere di troppo precedente al 12 luglio 1944: i ragazzi sono cresciuti, Mario ha raggiunto in altezza Luigi mentre Giuseppe, completo e cravatta scuri a incorniciare la solita espressione monellesca, stringe un paio di guanti bianchi – la sua Prima Comunione? Ilde, elegantissima come sempre, indossa un paio di zeppe autarchiche, bianche come il grande fiore che le illumina il viso. Più cupa, invece, ma forse solo per questioni pratiche, l’immagine sul cippo ancora oggi visibile nel cimitero di Montelabbate.
Il 30 agosto 1944, sulla collina tra Montelabbate e Montecchio gli Alleati avevano sfondato la Linea Gotica, portando a compimento la fase iniziale dell’Operazione Olive, avviata da Montemaggiore al Metauro cinque giorni prima sotto la supervisione di Winston Churchill in persona.
Nel gennaio 1945 Alceo Donati, nominato sindaco di Montelabbate, poté finalmente dare sepoltura al fratello Casimiro, grazie alla segnalazione tardiva di una testimone.
(Continua)

Grazie di cuore a Anna Capponi Donati per avermi affidato la storia di Ilde
Grazie a
Comune di La Spezia – Ufficio Anagrafe/Stato Civile
Comune di Lerici – Ufficio Anagrafe/Stato Civile
Comune di Pietrasanta – Ufficio Anagrafe/Stato Civile
Graziella Donati Cardinali
Tra i tanti articoli e studi su Sant’Anna di Stazzema mi sono stati particolarmente d’aiuto:
Il sito del Parco della Pace di Sant’Anna, ricchissimo di documenti e testimonianze
Un saggio di Giovanni Cipollini del 2006 che ripercorre in breve le vicende processuali, citando tra l’altro un lungo stralcio del racconto di don Giuseppe Vangelisti, parroco di La Culla, recatosi due giorni dopo la strage con alcuni volontari a seppellire le vittime
Nel 2019, in occasione del 75° anniversario della strage, molti quotidiani ne hanno scritto, riportando brani delle testimonianze dei superstiti. Ti segnalo questo articolo di Repubblica (11 agosto 2019) che riassume alcune testimonianze dei superstiti, in gran parte reperibili sul web.
Di Casimiro Donati parla tra gli altri Vincenzino Piermaria, anch’egli originario di Montelabbate, in Cili e il suo mondo (Pesaro 2016).
