Nota per la lettura: il corsivo segnala titoli e citazioni.
La scatola dei ricordi. Fotografie, bottoni, anellini di latta, un microscopico portamonete di velluto marròn, sottratto alla triste sorte di diventare borsetta di Barbie. Storie impercettibili, conservate in un porta talco di cartone dal disegno déco. Piccole voci che non vogliono farsi dimenticare. E che un giorno diventano così insistenti e coinvolgenti da farsi raccontare in un volume di più di trecento pagine. Quelle erano le ragazze che lavoravano con la nonna, in una grande sartoria di Pesaro.

Pesaro, viale Pola, primi anni Ottanta del ‘900. Di fronte, il parco di Villa Molaroni. Su un tavolo di cucina, stufa a carbone, pavimento di graniglia, mobili smaltati avorio e verde penicillina dritti dritti dagli anni Cinquanta, la nonna Zaira apre – è forse la prima volta in tante domeniche di Cynar e Idrolitina – la scatola delle fotografie, e un gruppo di ragazze, con i loro sorrisi composti sotto le onde gonfie delle acconciature un po’ liberty, rivive per un istante. Ma perché non le ho chiesto di più? Perché non le ho chiesto quale sartoria, dove? Forse arriva da lì il suo manichino, un busto primonovecentesco dall’inconfondibile linea a ‘S’, rivestito di un cotone nero sottile e consunto: per quasi cinquant’anni ha aspettato paziente dietro una tenda, tra carte, bottiglie e il poco superfluo di una famiglia che ha visto la guerra; dal 1983 sta lì, in bella vista, all’ingresso dello studio. Ogni tanto indossa qualche raro velluto dei suoi tempi, perlopiù fa da supporto a cappelli, sciarpe, velette. Sempre, però, con il riguardo dovuto alle anziane signore. E chissà cosa pensa, adesso, di questa nipote che non ha mai imparato a cucire due maniche uguali, ma che usa stoffe e vecchi sguardi per ricomporre le sue storie.

Nata a Talacchio di Colbordolo, Zaira Mignoni (1899 – 1983) arriva a Pesaro insieme con la famiglia nei primissimi anni del Novecento. Trascorre l’infanzia al Porto, e successivamente si trasferisce nel Borgo: il 3 luglio 1923 si sposa con un pesarese del Borgo, Carlo Ortolani (1895 – 1981), meccanico e conduttore di caldaie a vapore (lavorerà anche al San Benedetto), autista per l’Amministrazione Provinciale e reduce dalla Grande guerra. Sull’atto di matrimonio Zaira è già registrata come sarta, anche se i documenti della Camera di Commercio segnalano l’apertura della sua sartoria di via Mammolabella 50 nel 1928.
Come dimostra una fotografia scattata nel 1926, già in quell’anno la sartoria aveva diverse lavoranti: venivano quasi tutte da Soria, commenta Lidia Ortolani, primogenita di Zaira e Carlo; tra loro ricordo Maria Filippetti, detta la Maria fanesa [di Fano], che poi si è messa in proprio, e Iolanda Cardinali. In via Mammolabella siamo rimasti fino al 1929, perché all’epoca del terremoto del 1930 abitavamo già in corso XI Settembre, continua Lidia. Le clienti abitavano per la maggior nel Borgo, e la mamma contava tra loro anche diverse signore in vista, alcune erano molto legate alla nostra famiglia: per esempio, una volta la moglie di un noto avvocato mi regalò un monopattino di metallo, era molto elegante rispetto a quelli di legno che avevano di solito i bambini. La mamma lavorava in una stanza adibita a laboratorio, vicino alla cucina, era attrezzata con un tavolone per il taglio, la macchina da cucire e il manichino, ricordo che le marcature [i punti per segnare il tessuto prima di tagliarlo] si facevano su delle tavolette… qualche volta aiutavo anch’io in sartoria, ma quanto alle rifiniture, non mi lasciavano fare i sottopunti perché – diceva mia madre – facevo ‘i ceci’.

Con l’ordine di sfollamento, anche la famiglia Ortolani al principio del 1944 lascia il Borgo, per trovare riparo sulle colline dell’immediato entroterra (Bottega di Colbordolo prima, Ginestreto, Coldelce di Urbino e Farneto di Montelabbate poi); nello stesso anno muore, appena undicenne, il secondogenito di Zaira e Carlo, Luciano, colpito dalla meningite.
Nel 1945. alla fine della guerra, siamo tornati a Pesaro continua Giorgio, figlio minore della coppia (mio padre), e dopo un breve periodo trascorso in via San Francesco, ci siamo trasferiti definitivamente in viale Pola: Zaira, che già nei primi anni Quaranta aveva rallentato l’attività, dal ritorno a Pesaro si dedica esclusivamente alla famiglia, continuando a cucire abiti per sé, per la figlia e per le nipotine Luciana e Raffaella, due dei tre figli di Lidia e Giovanni Giordano.

Questo articolo è stato pubblicato con poche modifiche sul volume Pesaro, la moda e la memoria (II edizione, Pesaro 2009)